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11 maggio 2012

Il costo della conoscenza

Qualche giorno fa ha fatto capolino sulla stampa nazionale (qui Repubblica.it), un'iniziativa di un gruppo di scienziati con lo scopo di boicottare le riviste scientifiche a pagamento. Cerco di spiegare i fatti per chi non è così addentro nel merito della situazione. Quando un ricercatore porta a termine un suo lavoro, la conclusione naturale è quella di scrivere un articolo con il quale annuncia alla comunità scientifica i risultati ottenuti. In genere la fase di scrittura è molto importante, non solo perché di fatto rende pubblici i risultati, ma anche perché aiuta i ricercatori a mettere i puntini sulle i, ad analizzare nella loro completezza i numeri trovati e rendere comprensibile ad una comunità più vasta il proprio lavoro.


Non immaginatevi articoli che vengono inviati ai giornali in edicola. Si tratta di rapporti, scritti con un linguaggio piuttosto tecnico che vengono inviati per pubblicazione a riviste altamente specialistiche che si occupano di un campo dello scibile umano generalmente molto ristretto. Le riviste più prestigiose sono generalmente peer-reviewed, ovvero prima di essere pubblicato ogni articolo viene inviato ad un certo numero di altri eminenti scienziati (referee) nel settore per una approfondita lettura, la richiesta di chiarimenti ed eventuali correzioni. L'editore inoltra in forma totalmente anonima i commenti dei referee agli autori che rispondono alle critiche, fanno le correzioni necessarie e così via... Fin tanto che tutti sono d'accordo che quanto scritto è scientificamente corretto, ovvero che lo studio è stato svolto secondo i criteri del metodo scientifico e non ci sono evidenti errori o ancor peggio truffe. Spetterà poi al resto della comunità scientifica, se lo ritiene opportuno, ripetere l'esperimento pubblicato per verificarne i risultati.

In genere le riviste non fanno pagare gli autori (non sempre, in alcuni casi chiedono un contributo alla pubblicazione, specie se contengono immagini e grafici a colori), ma chiedono un trasferimento di proprietà intellettuale. Ovvero una volta che il tuo articolo è stato pubblicato sulla rivista A, non può più essere pubblicato (identico) sulla rivista B; in effetti avrebbe anche poco senso. Parimenti non offrono nessun compenso ai referee, che si ritrovano un lavoro, spesso non semplice, da fare gratuitamente. Ma chiedono un abbonamento alle varie università, enti di ricerca, istituti, biblioteche specialistiche che vogliono mettere la rivista a disposizione dei propri lettori. E gli abbonamenti non sono certo economici! Anzi negli ultimi anni sono sempre andati a salire!

La questione dell'abbonamento è divenuta ancora più accesa da quando il grosso degli accessi è effettuato on-line. In altre parole, tutte le riviste prevedono che l'autore invii un PDF del proprio manoscritto già nel formato esatto della rivista, che finisce tale e quale all'interno del volume. Ma finisce anche sul sito internet della rivista che lo mette a disposizione degli abbonati. Da quando faccio il lavoro dello scienziato, credo di essere andato a prendere un articolo in biblioteca non più di un paio di volte, per il resto ci sono degli ottimi strumenti on-line (qui scopus) che ti permettono di tracciare gli argomenti di tuo interesse e di inviarti direttamente all'articolo in formato PDF. Ammesso che tu abbia pagato il canone di abbonamento.

L'operazione di boicottaggio, vuole sostenere l'accesso aperto e gratuito alle pubblicazioni scientifiche. In altre parole, visto che gli scienziati sono interessati principalmente alle copie elettroniche degli articoli che poi possono stamparsi comodamente dall'ufficio per studiarli, gli autori potrebbero inviare ad un comitato scientifico i propri lavori che verrebbero inoltrati per il lavoro di revisione gratuito ad altri pari e poi resi disponibili a tutti via internet. Potrebbe esserci un consorzio di università che offre l'hosting sul web (che costa sicuramente meno degli abbonamenti) e chiedere a qualche ricercatore di svolgere il ruolo di editore nell'accettare e smistare gli articoli.

Detta così sembra una win-win theory, ammesso che tu non sia un editore di una delle riviste a pagamento. Io personalmente resto un po' scettico. Per carità sono assolutamente d'accordo che in un periodo di crisi di finanziamenti sarebbe più importante avere soldi liquidi nei laboratori piuttosto che bloccati in abbonamenti. Il mio scetticismo dipende dal fatto che mentre una rivista a pagamento a tutto l'interesse a mantenere alta la qualità del materiale che pubblica, perché le biblioteche tendono a dismettere abbonamenti costosi a riviste di bassa qualità, una rivista gratuita potrebbe essere vista come qualcosa di più leggero, tanto non c'è niente da perdere. E' solo una mia impressione, senza nessun fondamento fattuale, ma non vorrei che a fianco di tentativi seri di organizzare una rivista open-access ci siano dieci o cento tentativi di truffa/frode, per il semplice fatto che tanto non costa nulla e non si rischia nulla. Mi spiego. Se faccio una ricerca su google circa un determinato argomento e tra i link trovo una referenza a Nature, o Physics Review, o qualsiasi altra rivista a pagamento, allora la prima impressione è quella di essere sicuro che si tratta di un lavoro di qualità, e la reazione successiva è quella di segnarmi la referenza per scaricarla dall'ufficio dove ho quasi sicuramente accesso alla versione integrale.

Non è solo una questione di prezzo, per me è soprattutto una questione di fiducia e di garanzia della qualità. L'iniziativa lodevole di boicottaggio deve essere affiancata da una manovra atta a costruire questa sensazione di fiducia, che da parte mia, al momento, è ancora debole.

Questa è solo la mia discutibile opinione e le vostre idee sono le benvenute.

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6 commenti:

  1. ... e scusa per la lunghezza!

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  2. Premesso che non ho la pretesa di avere una risposta o di voler esprimere un giudizio a proposito dell'opera di boicottaggio. La mia resta una personalissima opinione. Punto. 

    Tu hai evidenziato i costi di pubblicazione cartacea, che secondo me potrebbero essere completamente annullati rinunciando alla pubblicazione. O meglio con la stampa digitale in offset se uno vuole stampare la sua copia da tenere in archivio può benissimo farlo in alta qualità e totale autonomia (se io fossi elsevier farei una copia per l'archivio interno senza ombra di dubbio). Per quanto riguarda gli aspetti tipografici più spinti, caratteri, equazioni, grafici, in realtà lo sai meglio di me, questi sono sempre gestiti dall'autore e almeno in ambito tecnico scientifico esistono strumenti di impaginazione molto avanzati e di uso comune. 

    Riporti l'esempio di linux, che è azzeccatissimo. E' aperto, gratuito, ma... senza alcuna garanzia. Tant'è che le distribuzioni di grosse, vedi RH, si sono presto dotate di un supporto a pagamento per aiutare gli utenti (noi i pisquani, ma gli utenti seri) a risolvere eventuali problemi. E' vero che c'è sempre l'appoggio della comunità, ma quando si parla di lavori scientifici voglio avere la garanzia che quanto sto leggendo sia di alta qualità. 

    Sono convinto che gratis non significhi necessariamente di bassa qualità, ma al momento non ho nemmeno la prova che valga il contrario. Da qui la mia incertezza di fondo e la mia ulteriore domanda: esiste un modo per garantire la qualità di una pubblicazione indipendente dalla tradizione di una rivista? In fondo, io non reputo un articolo su Nature di qualità perché l'abbonamento costa caro, ma perché Nature è Nature, punto. 

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  3. e che problema c'è... mica ci fanno pagare i caratteri!!! :))

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  4. Ovviamente, nessuna pretesa. Si ragiona semplicemente sulle cose.

     esiste un modo per garantire la qualità di una pubblicazione indipendente dalla tradizione di una rivista

    E' un ottimo punto e probabilmente non esiste una risposta definitiva.

    Il punto è che quando dai valore a quello che leggi in Nature, è proprio sulla tradizione che fai leva. Ti basi sul fatto che Nature, come tante altre del resto, non ha mai pubblicato fuffa. Si è fatto un nome nel tempo perché ha provato nel corso degli anni di avere un ottimo controllo su quello che passa in redazione.

    Il problema che tu poni è reale ed ha due aspetti.
    Si pone per ogni nuova rivista, senza tradizione, che aspiri ad avere una qualità comparabile con Nature (per esempio). Come sai che una nuova rivista è buona? Devi leggerla, e devi leggerla per un po' per identificare la linea editoriale. Se è gratuita sei naturalmente più diffidente, non lo nego, ma l'investimento è nullo. Se costa cara ti dici che se costa ci deve essere un motivo, ma questo non è un metro sufficiente, devi proprio leggerla la rivista.


    Una rivista blasonata che diventa gratuita. C'è un motivo per credere che decada di qualità? A priori non penso: si fa leva in quel caso sulla fama della rivista, che non vorrebbe perdere la faccia davanti ai lettori. Chi pubblica e i referee rimangono gli stessi (già non pagati prima). Non è una prova o una certezza, certo. Ma ancora una volta, bisognerebbe leggerla per saperlo.

    La garanzia della rivista alla fin fine la fanno i referee e la redazione, quindi una buona pista potrebbe essere basarsi sull'integrità e la preparazione
    di chi fa il referee (servizi su report docet)?

    Personalmente, non sono per la gratuità totale: c'è comunque del lavoro di qualità dietro e il lavoro va sempre ricompensato. Pero' un abbassamento dei costi si, magari modificando l'approccio classico (digitale invece che stampato), perché no?

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  5. Concordo con quello che dice ValerianoB . Certo, il prestigio di una rivista si basa sulla fama, abilità e dedizione dell'Editor (o meglio, della storia degli Editor che si sono susseguiti negli anni), e in misura minore dal comitato editoriale (di solito scelto dall'Editor). Altra discriminante, la selezione: più è alto il rapporto paper ricevuti/paper pubblicati, più ci si aspetta che abbiano scremato il superfluo e selezionato solo l'interessante (e qui si potrebbe discutere per ore su cosa è interessante e cosa è superfluo, e su quanto questo meccanismo sia imperfetto...)

    Credo che in ogni settore basterebbero 5-10 persone che si sono già guadagnati un nome e un peso, per potere dare vita ad una rivista svincolata ma di prestigio. Ma subito si porrebbe la questione: e l'editor, chi lo nomina, chi lo revoca?

    Per l'impegno in questioni più di tecnica editoriale come l'impaginazione, non lo riterrei troppo rilevante, ricordiamoci che esiste un'inesauribile fonte di "carne da macello", ossia gli studenti... ;-)

    RispondiElimina
  6.  La questione tecnica editoriale era infatti mirata a mostrare come una volta passato al digitale le spese fisse crollino.
    A livello di impaginazione, il lavoro ormai è quasi automatizzato (case editrici come la North Holland Elsevier forniscono addirittura le classi LaTeX per gli articoli con il formato da rispettare) e comunque è fatto da chi pubblica. A livello di materie, carta, inchiostro, ecc., se non stampi... non spendi.
    Quindi lo stesso prezzo di prima non sarebbe più giustificato e potrebbe scendere, per allacciarsi al discorso degli abbonamenti che costano troppo.

    RispondiElimina

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