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17 settembre 2009

Il deceleratore

Di solito noi fisici pazzi andiamo a fare i nostri ancora più pazzi esperimenti ai grandi acceleratori di particelle, ovvero quelle gigantesche macchine che prendono particelle minuscole e le fanno correre sempre più velocemente in un circuito per poi farle scontrare tra loro o interagire con qualche bersaglio. Ma non questa volta! In settimana sono stato nuovamente al CERN a Ginevra per installare un piccolo esperimento non su un acceleratore, ma su un deceleratore: ovvero una macchina in grado di rallentare e conseguentemente raffreddare particelle molti veloci ed energetiche.

A questo punto vi starete domandando perché nella nostra mente contorta dobbiamo prima accelerare le particelle ad una velocità prossima a quella della luce per poi faticosamente farle rallentare fino quasi a fermarsi. In effetti è una bella e ragionevole domanda la cui risposta la si può trovare solo se ci domanda che tipo di particelle vogliamo studiare. Non si tratta, infatti, di particelle normali, ma di antiparticelle, ovvero quelle che formano l'antimateria e che sono diventate - tristemente - famose grazie al romanzo Angeli e Demoni di Dan Brown. Voglio subito precisare che non stiamo facendo esperimenti per far esplodere il Vaticano né tantomento il mondo intero. L'antimateria, come controparte della materia, è nota all'umanità grazie al lavoro dei fisici delle particelle da qualche decina di anni ed è assolutamente impossibile produrne e conservarne la quantità necessaria per costruire una bomba.

Nonostante questo i fisici, che preferisco i libri di scienza ai romanzi inventati, stanno studiando sotto molti punti di vista, le proprietà dell'antimateria e in particolare - questo il motivo della mia visita a Ginevra - stanno valutando l'efficacia degli anti-protoni nei trattamenti radio-terapici nella cura contro il cancro. All'interno di questa collaborazione, il nostro contributo è stato quello di installare all'uscita del fascio (ovvero la fine del tubo in figura) uno dei nostri rivelatori di particelle in modo da fotografare istante per istante la forma, l'intensità e la posizione del fascio. Subito alle spalle del nostro rivelatore, in quella vaschetta di plexi nella foto, erano disposte culture cellulari al fine di valutare il danno biologico derivante dall'irraggiamento.

Al momento l'esperimento è ancora in corso e spero di darvi delle altre buone notizie al più presto!

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