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21 gennaio 2009

Lo strano caso di Benjamin Button


Mesi fa, in tempi non sospetti, ho comprato un libriccino di Francis Scott Fitzgerald, uno di quei tascabili minuscoli, veloci da leggere, da "viaggio in autobus". Il libercolo contiene due racconti dello scrittore della lost generation degli anni venti, pubblicati nella raccolta Tales of the Jazz Age: il primo, Lo strano caso di Benjamin Button, è ora diventato un film con Brad Pitt e altri nomi famosi di Hollywood. E leggendolo si capisce bene il perché. L'idea di base, già di per sé, è fortemente evocativa: Benjamin nasce vecchio, un settantenne nel corpo e nello spirito. E col passare del tempo ringiovanisce, anno dopo anno, vivendo una vita al contrario. Il racconto è brevissimo, non ci sono fronzoli, lo stile è asciutto e quasi giornalistico mentre Fitzgerald racconta le cronache della vita del protagonista. Si parla di incomprensioni, di amore, di passione, ma sempre in maniera abbastanza distaccata, senza giudizi, prese di posizione, analisi intime o roba simile: pura e semplice narrazione dei fatti.
La cosa che più mi ha colpito è stato il finale: nessun colpo di scena, nessun sentimentalismo, nessuno slancio emotivo. L'ultima pagina racconta di come Benjamin, a circa settanta, ottanta anni, sia ormai un poppante nel corpo e nella testa, di come la sua percezione del mondo si annebbi, di come la sua vita si dissolva nel nulla. Ancora, pura cronaca, nemmeno una descrizione, nemmeno un accenno ai sentimenti. Eppure, nonostante l'assenza totale di ogni tentativo di creare empatia con il protagonista, dopo solo una quarantina di pagine di pura cronaca di un "caso curioso", quell'ultima pagina, quel dissolversi senza coscienza, dopo una vita tutto sommato normale, dopo i giochi, il matrimonio, il lavoro nella ferramenta di famiglia riescono a scaldare il cuore di chi legge.
Insomma, non ho pianto solo perché sono un uomo! :)

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